I giornalisti vicentini Lauro Paoletto e Luigi Marcadella hanno scritto un interessante libro, edito da Ave, sulla fine della Democrazia Cristiana trent’anni fa. Il volume s’intitola, parafrasando Gaber, Qualcuno era democristiano, ed è frutto di dieci anni di lavoro. Contiene dodici interviste ai protagonisti, nazionali e veneti, dell’ultima fase della Dc, quella che va dal congresso del 1989 fino all’estinzione del 1994. Le interviste sono state rivolte a Gerardo Bianco, Rosy Bindi, Pier Ferdinando Casini, Pierluigi Castagnetti, Luigi D’Agrò, Marco Follini, Arnaldo Forlani, Franco Frigo, Paolo Giaretta, Settimo Gottardo, Clemente Mastella e Achille Variati. Nel caso di Forlani è stata riportata una sua riflessione intitolata significativamente “I cattolici non avevano più bisogno della Dc”, dopo 50 anni. Inoltre c’è un articolo di Mino Martinazzoli e un capitolo finale degli autori che tira le conclusioni delle 200 pagine di analisi.
Il libro ha vari meriti: brillantezza di scrittura, profondità di analisi, varietà di opinioni. Non è un volume storico in senso stretto ma sarà una fonte importante per gli storici che vorranno indagare su quel periodo.
La tesi degli autori è questa: i leader della Dc non seppero cogliere la domanda di rinnovamento (è eloquente l’intervista di Castagnetti in questo senso) che nasceva dalla base. La questione morale, pur accendendo la miccia, non riguardò solo la Dc, ma tutto il sistema.
C’è una domanda evocata dagli autori nell’introduzione che riprende una frase di De Mita: “Sappiamo tutto della Dc ma non sappiamo perché è finita”. La verità, sottolinea Paoletto, è che dopo la fine della Dc la politica è stata espulsa dalle parrocchie. Non è vero che la Dc nella seconda repubblica sia vissuta sotto nuove spoglie.
I due autori, Lauro Paoletto e Luigi Marcadella
Non si tratta di un libro nostalgico: cogliere le ragioni per cui è scomparsa la Dc – secondo gli autori – significa contribuire a sciogliere i nodi irrisolti di questa fase politica. E soprattutto cercare di capire le ragioni e le possibilità di una nuova presenza dei cattolici in politica. In realtà non erano certo pochi i democristiani in politica trent’anni fa: la Dc aveva 60mila amministratori comunali, 4000 sindaci, 400 fra consiglieri regionali e presidenti di Regione.
Molte sono le affermazioni contenute nelle interviste che meritano una sottolineatura. Spiega Follini che oggi i cattolici devono trovare una nuova motivazione: “I cattolici devono tornare al 1943 alla classe dirigente che andava a Camaldoli”. Sottolinea Castagnetti: “La dissoluzione della Dc non dipende dalla questione morale, ma dal logoramento, l’immobilismo, l’astenia, la crescente distanza dal Paese del partito”.
È citato un articolo di Martinazzoli che parla del “dovere di una resistenza ostinata”, Variati affronta il tema della “solitudine dei cattolici in politica”, mentre D’Agrò ritiene che Rosy Bindi a suo tempo, quando nel 1992-1994 fu segretaria veneta della Dc, “applicò la sua linea con tale determinazione da essere vissuta come un oltraggio” dai veneti.
Dal canto suo, Bindi respinge l’idea che Berlusconi sia stato “l’esecutore testamentario della Dc, ne è stato invece il dissipatore della sua cultura. Sottolinea che dopo la fine del partito lei “non abbia mai : non ho mai avuto dubbi da che parte stare. A chi mi diceva comunista rispondevo: sto dalla parte di chi ha scritto la costituzione”.