Una posa scherzosa di Angelo Maggi (con barbone per esigenze di ripresa) e Francesco Pannofino
Sono iniziate ad Asiago le riprese del film L’ospite, su soggetto e sceneggiatura di Nicola Piovesan, farmacista a San Felice nella prima vita, scrittore e filmaker in quella nuova iniziata pochi anni fa. Il film è ambientato nella Grande Guerra. O meglio, l’azione inizia nel 1934, in una malga dell’Altopiano nella quale vive Giuseppe, anziano tormentato dai ricordi della guerra, specie da un dipinto trovato in una trincea. Una sera bussa alla sua porta Vittorio, viandante infreddolito, che Giuseppe accoglie. Piano piano emergono i ricordi e i due scoprono di aver combattuto nella stessa battaglia. Abbondano i flashback, il vecchio soldato scoprirà che è proprio il suo ospite l’autore del dipinto. Ma questo è solo l’inizio. Emergono drammatiche verità sino al colpo di scena finale.
Affidato al giovane regista Alberto Grandis, 24 anni, i due protagonisti sono grandi attori italiani, assai conosciuti anche come doppiatori: Francesco Pannofino, 66 anni, e Angelo Maggi, 69 anni. Gli altri attori sono: Marco Residori, Elisa De Rossi, Salvatore Mannino, Giovanni Pivato, Giovanni Rudello, Silvio Galvan, Gregorio Vianello, Siro Pillan. Natascha Colantonio è l’aiuto regista Le comparse fanno parte del Gruppo storico battaglione Bassano 62ª compagnia.
Per chi è interessato a sostenere l’iniziativa c’è la possibilità di partecipare al crowfunding organizzato dalla PiovEmotion, la casa di produzione di Piovesan, che è anche – appunto – direttore della produzione. L’obiettivo del film, che è un cortometraggio da 18 minuti, è di partecipare al concorso di settore alla prossima mostra del cinema di Venezia.
Francesco Pannofino, incontrato all resort Meltar che ospita la troupe, spiega il suo punto di vista sulla storia e il perché della partecipazione.
Cosa si può girare sulla Grande Guerra dopo Torneranno i prati di Ermanno Olmi? In altre parole cosa l’ha colpito del copione e l’ha spinto a recitare ne L’ospite?
Mi ha colpito l’atmosfera: la malga, il freddo, i ricordi, la sofferenza di questi giovani in quella guerra, assurda come tutte le guerre. Fu un conflitto molto feroce. Ai nostri tempi neanche la studiavamo a scuola. Io mi sono preparato alla parte, ho studiato ben oltre il copione.
Fu la guerra dei nostri nonni…
Come no, anche del mio. Lui mi raccontava di essere stato fortunato, perché fu destinato a essere l’attendente di un capitano. Si salvò e morì nel 1970.
Le vittime italiane della guerra furono seicentomila
Ogni guerra è ingiusta. Il primo fotogramma del film è il fango, fango e cadaveri. Il guaio è, allora come oggi, che muoiono ogni giorno centinaia di persone ma poi ti ci abitui. È terrificante. Gli uomini, le donne, diventano carne da macello. Più ci penso e più non capisco.
Lei ha recitato nei film, a teatro, per la televisione. È più semplice o complicato confezionare un cortometraggio?
Indubitabilmente più difficile. Si deve confezionare una storia in poco tempo. Non hai un’ora per suscitare un’emozione, ma venti minuti. È proprio questione del mezzo: una canzone in tre minuti funziona, nel cinema è diverso.
Un primo piano di Nicola Piovesan: nella sua seconda vita è diventato scrittore, filmaker e sceneggiatore
Lei da due stagioni sta portando in tournée Chi è io? scritto da Angelo Longoni, uno spettacolo di grande successo che dal 18 al 20 febbraio sarà a Thiene. C’è uno psichiatra, Leo Mayer, e molte riflessioni sulla nostra vita.
È un invito alla riflessione, certo, perché abitiamo contemporaneamente la realtà, l’inconscio e la fantasia e ci chiediamo tutti: cosa conta davvero nella vita? Cosa facciamo e cosa vogliamo? È anche uno spettacolo divertente: Mayer riflette sulla sua vita, sulla moglie, la figlia e l’amante. Ci si diverte, ma fa riflettere. Sa che drappelli di persone spesso ci aspettano all’uscita del teatro?
No, perché lo fanno?
Perché nello spettacolo lui si salva e diventa meno stronzo di prima. E allora la gente s’interroga, ci chiede come deve comportarsi, ci pone i suoi problemi.
Qual è stata la sua massima soddisfazione nel lavoro?
Tante. A dire la verità mi ricordo soprattutto le cose che non sono andate bene. Comunque, a doverne citare una, è naturalmente Boris.
Qual è stato il segreto del grande successo di Boris?
È scritto bene e racconta di persone e fatti verosimili. Non è così scontato. Sa com’è in realtà la vita di un set? L’ha descritta bene un regista con una frase: “È come guardare la vernice che si asciuga”. Pensi che Boris lo trasmetteva Fox e non avevamo più di 50-60 mila persone a guardarlo. Vediamo se arriverà mai un personaggio migliore di René Ferretti: finora non ne ho visti.
E i personaggi che ha doppiato? Chi ricorda di più?
Forrest Gump. Io ho doppiato lui, ma il doppiatore di Tom Hanks è Angelo Maggi, sia chiaro. Altri attori che ricordo sono naturalmente George Clooney, Denzel Washington, Hagrid di Harry Potter, Michael Madsen delle Iene di Tarantino…
Ha incontrato qualcuno di loro?
Ho incontrato Denzel Washington una volta e parlato varie volte con Clooney
Ha avuto maestri?
Non ho frequentato nessuna scuola. Ho visto lavorare gli attori e ho preso qualcosa da ciascuno di loro. In questo senso un po’ tutti sono stati miei maestri: Denzel lavora con gli occhi, Clooney ha ritmo e una presenza non indifferente. E poi mica viene dalla montagna del sapone…
George Clooney, uno dei miti di Hollywood doppiati da Pannofino
Prego?
A Roma diciamo così per intendere che non è l’ultimo arrivato. Prima del successo mondiale, in altre parole, Clooney ha lavorato un sacco in fiction e serie televisive.
Meglio il teatro o il doppiaggio?
Il teatro. L’attore ha la sua mimica, la sua fisicità, il suo spazio. Lo spettatore ha la sua inquadratura: se si mette al centro vede una cosa, se si mette di lato ne vede un’altra. Comunque a mie piace tutto del mio lavoro, il doppiatore è una specializzazione dell’attore. Mi piace diversificare.
Ma se non ha frequentato scuole, come ha iniziato?
Una mia amica era segretaria del sindacato attori. Un giorno è venuta al bar e ha chiesto a noi ragazzi, avrò avuto 19 anni, se c’era qualcuno che voleva lavorare tre mesi per una sostituzione di maternità. Tutti sono scappati, io ho accettato.
Lei a vent’anni è stato testimone della strage di via Fani e del rapimento di Aldo Moro. Stava andando a sostenere un esame di algebra
Abitavo lì. Avevo il motorino rotto, sono andato all’edicola vicina a via Fani a comprare il giornale e poi a prendere l’autobus. Neanche il tempo di leggere in fondo alla prima pagina una notizia su Zoff che ho sentito le raffiche di mitra. Sono tornato indietro ma era già tutto concluso. Non sono stato d’aiuto alle indagini.
Romanista o laziale?
Laziale.
Per scelta o tradizione?
Per caso. Da adolescente un amico mi coinvolse a fare il bibitaro allo stadio, insomma vendevo da bere ai tifosi tutte le sante domeniche. Ho visto tutte le partite. Era l’anno dello scudetto della Lazio di Maestrelli. L’avesse vinto la Roma, chissà, sarei diventato romanista.
Ruoli o personaggi futuri?
Non ne parlo, perché ogni volta che ci penso non me li fanno fare, da Verdone a Sorrentino fino a Pupi Avati. No, Pupi Avati mi chiamò, dopo che mi ero lamentato con sua figlia incontrata per caso.
Lei da romano e attore ha conosciuto anche Alberto Sordi, immagino. Che ricordo ne ha?
Una sola parola: un genio
Antonio Di Lorenzo