È un pianista che sarebbe piaciuto a Liszt, non a caso sua grande passione. Perché, come lui, cerca il sesto grado superiore della musica. Perché sa alzare la testa dalla tastiera e guarda oltre lo spartito, sopra quelle che chiama “le difficoltà trascendentali” della musica. Perché è un talento puro, che vive con impegno e molta sobrietà. Perché il suo volto da fanciullino pascoliano nasconde una volontà alfieriana e una ricerca leonardesca. E poi non se la tira, per dirla in soldoni, anche se potrebbe permetterselo. Non è poco in un mondo di vanità a buon mercato.

Quando Luigi Borgato che, grossomodo dieci anni fa, organizzava assieme ai medici i concerti per i malati dell’ospedale di San Bonifacio, ebbe tra le mani un suo video sobbalzò: “Altro che adolescente – racconta – sembrava avere 50 anni per la sensibilità e l’espressività dell’interpretazione”. Il video gliel’aveva spedito il papà di Giovanni Bertolazzi, da Monteforte d’Alpone, che era orgoglioso del figlio. Aveva ragione. Oggi Giovanni ha 27 anni ed è un talento riconosciuto a livello internazionale. Docente di pianoforte principale al conservatorio di Ferrara (ma prima ha insegnato a Cesena e Ravenna), vincitore di 40 premi nella sua peraltro giovane carriera, con Luigi Borgato è cresciuta un’amicizia solida: è stato Giovanni nel 2017 a presentare il pianoforte Gran Prix 333 che Borgato ha costruito assieme alla moglie Paola. È il più lungo al mondo: mezzo metro più degli altri. Ha cinque pedali anziché tre per esaltare meglio le sonorità, ma questo è solo uno degli accorgimenti. È costruito con 15 mila pezzi: il legno Luigi lo va a prendere a Passau, in Germania. Lo strumento l’ha studiato per dieci anni e si pone come uno tra i migliori al mondo. Se uno Steinway gran coda costa 240 mila euro, quello di Borgato (ognuno è un pezzo unico) vale il doppio, oltre mezzo milione di euro. Ma se li merita tutti. “C’è una ricchezza timbrica straordinaria in tutti i registri – ha spiegato Bertolazzi – Il suono è potente, l’intensità incredibile, con bellissime e lunghissime risonanze”.

Con questo pianoforte, Bertolazzi ha inciso due cd di musiche di Liszt che sono valsi ai due maestri, l’artigiano e il musicista, il secondo premio a Budapest nel concorso intitolato al genio del pianoforte, uno dei più importanti e severi al mondo, tant’è che si tiene ogni cinque anni. Tanto per dire, in passato quel premio fu vinto da Claudio Abbado e Caudio Arrau.
È vero che fino a 11 anni non ha suonato?
Vero. Ascoltavo i dischi di musica classica del papà. Poi è scattato un innamoramento fortissimo per alcune opere particolari. Liszt mi ha incantato per il virtuosismo che la sua musica richiede.
Che idea s’è fatto di lui?
Crea illusioni attraverso il pezzo. Pensi alla Campanella, che ogni volta è una sfida da vincere. Oppure alla Danza degli gnomi, con note molto veloci. Al primo ascolto giuro che li ho visti materializzarsi.
Se l’avesse davanti adesso, cosa gli chiederebbe?
Vorrei ascoltare da lui il racconto di alcuni episodi di una vita irripetibile, perché ha conosciuto musicisti, politici… E poi gli domanderei come ha fatto a mettersi in contatto stretto con personaggi del passato, come Dante e Petrarca su cui ha scritto musiche straordinarie. Vorrei capire come ha fatto a entrare nella loro mente e capire la loro poetica.
È stato lui il maggior virtuoso, come si sostiene?
Ha soprattutto inventato il recital pianistico, creando un momento in cui il pubblico arrivava per ascoltare lui
Era anche un manager, insomma
Certo, era una figura prolifica in aspetti diversi. Ma per tornare alla tecnica, anche Rachmaninov, che pure fu pianista straordinario, riconosceva che Liszt era di un livello superiore al suo.
Parere personale, benché autorevole
No. Alla sua epoca non esistevano esecutori, quindi Liszt doveva essere capace per forza. Anzi, doveva essere impressionante, irripetibile, forse diabolico. Aveva una forza inusuale: tanta era l’energia che metteva nelle esecuzioni che quasi rompeva il pianoforte. Esistono testimonianze precise.
Merito della famiglia se la scintilla della musica s’è accesa in lei.
Mi hanno stimolato non solo nella musica, bensì portandomi a molte mostre e musei.
Ha frequentato il liceo Pigafetta a Vicenza e contemporaneamente il conservatorio a Venezia. Quando dormiva?
Dormivo poco. Studiavo in treno o di notte. Abitavo al pensionato studenti a ponte Pusterla. Però il periodo di Vicenza lo ricordo con affetto. Ricordo specialmente il prof. Bettineschi.

Racconta la prof. Marzia Zanella del Pigafetta che al concerto di Natale del liceoa San Lorenzo il maestro Roberto Di Maio abbia detto al pubblico: ricordatevi del nome di Bertolazzi, ne sentirete parlare molto. Liceo a parte, chi sono i suoi riferimenti per il piano?
Claudio Arrau, Emil Gilel’s, Vladimir Horowitz: sono poeti del piano. E poi Radu Lupu, che trasformava il pianoforte da strumento percussivo e lo faceva cantare. È una delle qualità che ammiro di più nei pianisti: io la chiamo alzare gli occhi dalla tastiera.
Che significa in pratica?
Controllare quello che ci circonda e molto altro. La concentrazione diventa un controllo superiore. Del resto oggi si eseguono poche prove: bisogna essere molto preparati. E poi si deve sempre imparare da Horowitz: aveva umorismo, prendeva la vita come un gioco. Dovremmo diventare giocolieri: fare arte significa liberarci dai pesi.
Un allievo di Liszt che la ispira?
Martin Krause, che a sua volta è stato maestro di Arrau. Disse: “Questo bambino è destinato a diventare il mio capolavoro”.
Cosa legge?
Biografie di personaggi legati al mondo musicale senza essere per forza musicisti, come Carlo Fontana, esempio di rapporti fra politica e musica. Inizia a lavorare con Grassi, poi diventa nel 1990 Sovrintendente della Scala, quindi del Regio di Parma, è stato professore universitario, oggi è presidente dell’Agis. Una vita ricca.
Le piacciono i film?
Ho poco tempo. Ma cerco di non perdermi i film dei grandi autori. Quelli di Kubrick li ho visti tutti.
Quanto studia al giorno?
Sempre meno di quello che vorrei. Il musicista è un monaco. Deve esserlo, è necessario l’approfondimento solitario prima di diventare una figura opposta, pubblica.
Chi è secondo lei il musicista?
L’interprete non è un esecutore di note. Deve capire il messaggio del compositore e ricreare la stesa forza di 100-200 anni fa.
Chi ammira come direttore?
Riccardo Muti lo ammiro moltissimo, anche per l’assoluta integrità come musicista e per la sua coerenza.
Un pezzo che le piacerebbe suonare?
Il terzo concerto di Rachmaninov, di profonda complessità: ha 29mila note
Che rapporto ha con lo sport?
Mi alleno un po’ e ho grande ammirazione per gli atleti: si preparano una vita magari per una gara di dieci secondi. Ammiro la loro nobiltà.
Che farà da grande?
Mi concentro in questi anni a preparare un repertorio che sarà la base per il mio futuro. Desidero specializzarmi, fra l’altro, nel terzo concerto di Prokof’ev (la critica spiega che per eseguirlo servono doti tecniche eccezionali, ndr.) e nel secondo concerto di Brahms (considerato uno dei più difficili di tutto il concertismo, ndr.). Ha uno sviluppo matematico che è ripreso in modo straordinario. È come costruire una cattedrale con materiale molto piccolo, che viene allargato e dilatato fino a diventare una sinfonia.
Com’è lei da insegnante? Esigente, immagino
Molto, perché la musica me lo impone. Ma non mai creduto nella cattiveria.
Se non fosse diventato un pianista chi sarebbe?
Un direttore d’orchestra o un cantante, che è un pianista del suono che ha la capacità di espandersi.
Abbiamo citato molti grandi, manca Bach. Le piace?
Viveva chiuso in Germania. Mi domando sempre come è riuscito a capire in modo così profondo le altre culture.
E Beethoven?
Verso di lui ho una devozione assoluta
Lei è giovane, avrà amici, sarà invitato a qualche festa…
Come no…
…e quando le chiedono di suonare qualcosa come se la cava? Mi pare improbabile che suoni i Pooh, con tutto il rispetto
Cerco di eseguire brani semplici e conosciuti, come La Campanella che piace a tutti.
Antonio Di Lorenzo