
Quando, a 31 anni, nel 1482, Leonardo scrisse a Ludovico il Moro presentando la sua autoandidatura per essere assunto a corte a Milano, il curriculum (non sapeva che sarebbe stato il primo della Storia) era articolato in dieci punti, nove dei quali, curiosamente, non avevano niente a che fare con l’arte e l’architettura, ma erano un catalogo di armi e macchine da guerra. Solo uno, il decimo, presentava sinteticamente le sue qualità di ingegnere civile e, in ultimo, proprio ultimo, anche di pittore.

Il ricordo torna alla mente ammirando la mostra di quadri di Sandro Piazza allestita fino al 22 ottobre alla Libreria Galla: dopo 40 anni trascorsi fra l’insegnamento di disegno tecnico al Rossi e la professione di architetto, lavorando nello studio assieme al fratello Maurizio, ingegnere, Sandro Piazza con questa prima mostra a 68 anni può aggiungere al suo curriculum, da ultimo come Leonardo, anche l’etichetta di pittore.
E lo sguardo che suscitano i suoi dipinti (più avanti parlemo anche del sostrato, che merita un capitolo a parte) non può che far salire a galla il ricordo degli impressionisti. Del resto, se gli si chiede chi sia un maestro di riferimento, lui ammette che quando ammira un quadro impressionista sente vibrare qualcosa dentro di sè.


Il risulato è sulla tela. C’è indubbiamente uno spirito trascendente che emerge dai suoi dipinti e che trascolora il reale. Del resto, in una celebre frase, lo stesso Van Gogh spiegava che “prima sogno i miei dipinti e poi dipingo i miei sogni”. È la realtà che diventa parte di se stesso: questa la sua lezione che lo discosta dagli impressionisti puri. Molti quadri del collega vicentino di cento e passa anni dopo trasmettono la stessa sensazione. E gli ultimi lavori di Piazza, lui li chiama esperimenti, sottolineano un uso del colore che si avvicina a un altro concetto del grande Vincent: “Invece di cercare di rendere ciò che ho davanti agli occhi, mi servo del colore in modo totalmente arbitrario per esprimermi con maggiore intensità”.

Uno degli ultimi lavori d Sandro Piazza che sembra riprendere il concetto di Van Gogh sui colori “per esprimersi con maggiore intensità”.
Un’altra cratteristica che associa Piazza, persona mite e profonda, al gruppo degli impressionisti è la predilezione per i paesaggi: montagne, valli, marine abbondano nei suoi quadri. Pennellate decise, accostamenti di colori che possono essere forti ma anche virare sui colori comprimari, che in questa fase della sua creazione appaiono più consoni al temperamento.

Il risultato della sua fatica, che è partita dal figurativo e piano piano è salita a un’altra dimensione, Sandro Piazza la attribuisce al circolo “La Soffitta”, fondato da Otello De Maria e ora guidato da Davide Piazza (che non è parente, ma solo omonimo). Gli riconosce l’autentica capacità di e-ducare dei maestri, cioé cavar fuori dalle persone le qualità migliori, senza strafare né umiliari, che sono le scorciatoie più diffuse.

Due ultime considerazioni. La prima riguarda il materiale dei dipinti, che sono tutti oli su tela, ma la tela alle volte è già stata usata e Sandro ha ridipinto sopra un precedente lavoro: il materiale, spiega, regisce in modo diverso. A chi scrive viene da sorridere pensando che fra 2-300 anni qualcuno si ritroverà una i questi dipinti in mano e si scervellerà per trovare un significato al fatto che il disegno è sovrascritto due o tre volte.

Ultima annotazione riguarda il titolo della mostra Forme creative d’empatiche cromie, che il pittore attribuisce a Marica Rossi, curatrice della mostra dei suoi trenta quadri. La bellezza del titolo sta nel fatto che è un endecasillabo. Che è l’autentico verso italiano: tutta la Divina Commedia è scritta in endecasillabi. E anche questa scelta contribuisce a suscitare una vicinanza affettiva dei dipinti a chi li guarda.