Chiamatelo Ismaele. Hermann Melville non se la prenderà se parafraso il suo celebre attacco di Moby Dick per parlare di Mario Lanaro, musicista, docente e direttore da oltre 40 anni. Ismaele, infatti, porta il lettore in un viaggio epico e introspettivo, e diventa simbolo di una persona sempre in cerca che racconta l’epica del romanzo. Lo stesso Mario, anche se il suo racconto non avviene tra le balene bensì riguarda la musica, dal palco fino al backstage, che non è meno epica.

Il maestro giunge da Malo (da pronunciare con la “o” chiusa di “amore” all’uso nella città di Meneghello) ha 68 anni, è sposato con Francesca (che cita più volte nella conversazione, come compagna e – direbbero quelli alla moda – mental coach della sua vita: insomma, l’ha sostenuto e spronato) e sono genitori di due figlie. Organista, direttore di coro e d’orchestra, docente, compositore e arrangiatore, Lanaro è persona amabile e ironica che ha vissuto 40 anni quasi sempre lontano da Vicenza insegnando nei conservatori di Verona, Trento e Rovigo e ha tenuto un corso all’Istituto di musica sacra di Vicenza. È anche compositore e arrangiatore, ma gli piace che l’abbiano definito divulgatore della musica e di tale qualità ha dato piena dimostrazione al concerto 2025 Viva Verdi in piazza dei Signori, con una scaletta ricca e vivace, così come si sono dimostrati l’orchestra del Teatro Olimpico e il coro dei Polifonici Vicentini. Al concerto ha dato spazio anche al musical. In risposta alla performance, un’esplosione di applausi dalla piazza.

Organista, direttore di cori e orchestra, compositore. Cosa si sente di più?
Direttore di coro e orchestra. La musica è un gesto d’amore. Chiedo a chi sta davanti di sorridere. La serietà è un cosa, ma da 40 anni cerco di insegnare anche a trasmettere serenità. Poi oggi la musica è diventata molto da vedere: fenomeni come Luciano Tajoli, poliomielitico, che si presentava sul palco con il bastone non sarebbero replicabili. In contrasto pensi ai vestiti di Yuja Wang sul palco: poi mette le mani sulla tastiera e porta in un altro mondo.
Più difficile essere ironici con i grandi o dirigere dei bambini?
Più difficile dirigere i bambini. Riescono a depistarti. Una volta uno di loro mi disse: Sei bravo perché non guardi i tasti mentre suoni. Impari molto da loro. Al confronto, dirigere i Berliner Philarmoniker sono paradossalmente più semplici.
Com’è il suo lavoro? Detto in parole povere: dirigere significa eseguire la partitura al meglio, senza errori?
Prima di tutto significa capire l’intenzione del compositore. Poi bisogna anche saper gestire l’errore e l’imprevisto
Qual è stato il suo miglior allievo?
Lucio Golino, che è maestro ripetore alla Staatsoper di Vienna e maestro suggeritore, quello che nella buca dà a ogni cantante l’imbeccata. Era mio allievo ora è un mio punto di riferimento
Scusi, ma cosa fa il maestro ripetitore?
Suonando il pianoforte, guida e prepara i cantanti, sia individualmente che in ensemble, padroneggiando la direzione dell’esecuzione con una conoscenza approfondita della partitura orchestrale e con la capacità di farla rivivere al pianoforte. Aiutando il solista ad approfondire lo spartito, il répétiteur è inoltre fondamentale nella crescita e nella carriera di un cantante. Molti tra i più noti direttori d’orchestra, come Solti, Muti, Pappano e Gergiev hanno iniziato la carriera come répétiteur.

Chi è il suo autore preferito?
Bach, inevitabilmente. Papà è stato organista per 50 anni, poi anche fisarmonicista. Mi ha fatto amare l’opera. Però amo molto anche Mozart e Monteverdi.
Se fosse uno strumento, cosa sarebbe?
Un violoncello, strumento molto erotico: ricorda il corpo di una donna. Oppure un oboe. Lo so, sembra strano, ma mi piace molto. Se tornassi indietro, lo studierei.
E se fosse un pezzo musicale, cosa sarebbe?
Una suite perché è un componimento vario. Riflette la mia vita musicale, nella quale rivesto molti ruoli. Su un altro piano, mi piace la passacaglia in do minore di Bach. Ha molte variazioni sopra lo steso brano. È una parafrasi del senso della vita, che resta la stessa ma cambia.
Cosa legge?
Asimov, poi ho letto Il treno dei bambini e adesso la biografia di Vivaldi di Sardelli.
Le piacciono i film?
Sono di bocca buona, dalla fantascienza in giù. Ci dev’essere però una componente di spettacolarità.
La musica classica vive di miti: come li affronta?
Le dico la verità, a me Toscanini e la Callas sembrano sopravvalutati.
Le sue parole sono come le martellate contro la Pietà di Michelangelo

E perché? Non nego che la Callas abbia avuto un’aura magica che la circondava… Ma la direzione di Toscanini fece arrabbiare anche Ravel alla prima del suo Bolero: se ne andò infuriato perché Toscanini aveva cambiato il tempo. Comunque farebbero bene a togliere da Internet quegli audio suoi che tirano in ballo Dio durante le prove perché non lo convincevano i contrabbassi. Non se li merita.
Sport, praticati o tifati
Il tennis, ma è impossibile da praticare per un pianista. Sono un camminatore ben intenzionato, per merito di mia moglie Francesca.
Perché ha messo in musica La fabbrica del cioccolato? Le piace Roal Dahl?
Sì, ma era una commissione da parte di una scuola di musica.
Due anni fa ha scritto la Piccola suite per Gigi, in onore di Meneghello. L’ha conosciuto bene?
L’ho incontrato un paio di volte. Sono rimasto sempre colpito dal fatto che Benjamin Britten (uno dei più grandi musicisti inglesi, ndr.) volesse da lui un frammento di una melodia popolare italiana. Ha fatto bene a chiederglielo. Meneghello componeva musica con le parole.
A proposito di Britten, che scrisse una versione particolare dell’inno nazionale inglese di grande successo ancora oggi, anche lei ha modificato Fratelli d’Italia contaminandolo con melodie celebri: la marcia trionfale dell’Aida, O’ sole mio, Funiculì funiculà, il Barbiere di Siviglia… Ce n’era bisogno?
L’inno va oltre la parola, casomai il problema è trovare la giusta tonalità dato che viene eseguita in modalità troppo acuta. Ho inserito queste meraviglie della creatività italiana per presentare nel Canto degli italiani, come era battezzato in origine, un biglietto da visita dell’Italia.
Lei è una persona che ha ironia, e allora a proposito di Italia le chiedo: meglio Achille Campanile o Enzo Jannacci?
Jannacci non mi è mai andato a genio. Mi sembrava anche un po’ stonatino.
Preferisce Frankestain junior o Guerre Stellari?
Guerre Stellari, anche se adoro Mel Brooks.
Qual è la maggiore difficoltà per i giovani musicisti?
Abbiamo fatto credere che il musicista sia un personaggio bizzarro e quindi, tra l’altro, non sia necessario pagarlo per assistere ai concerti. E qui la Chiesa dovrebbe fare un grande mea culpa, ma lasciamo stare. Perché non pagare per i concerti? Le mamme forse non pagano il maestro di karate o di danza?

La soddisfazione di suonare o dirigere è cresciuta o diminuita negli anni, tanto da diventare un lavoro?
Non è mai una routine. Mi ritengo una persona fortunata, perché la mia passione è il mio lavoro. Anche suonare il motivo più semplice ha la stessa importanza del Requiem di Mozart…
…che è un pezzo importante per lei se ne ha discusso con Claudio Abbado
Era il 2006, lui aveva ricevuto dall’assessorato alla Cultura di Malo, credo dalla Pro loco, una mia incisione con una particolare versione e s’era incuriosito. Mi invitò ad andarlo a trovare a Bologna. Non mi sembrava vero. Ma invece lo era. Fu gentilissimo, parlammo di orchestrazione.
Qual è la maggiore difficoltà a comporre? Quanto c’è di fantasia e talento e quanto di lavoro?
Cinquanta e cinquanta. Prima di tutto c’è la forma, ossia un grande lavoro di pianificazione. Non è come andare in viaggio sperando che succeda qualcosa. Il musicista come escursionista solitario è una fantasia.
E poi ci sarà anche l’intuizione, no? C’è qualcosa che non ha ancora realizzato?
Niente che qualcuno fa non è stato già fatto. Al di là delle montagne, sosteneva Schumann, c’è qualcuno che ha già fatto quello che tu pensi di fare.
Però ce l’ha un sogno nel cassetto...
Certo. Dirigere la Passione secondo Giovanni di Bach e Boheme, l’opera perfetta.
Wagner sosteneva che nella partitura c’è scritto tutto, tranne il modo di eseguirla. È d’accordo?
Il direttore ha uno spazio di manovra, ma deve essere cosciente che non è molto ampio. Mozart diceva che la musica è nello spazio fra una nota e l’altra. Bisogna guadagnarselo.
Quando la chiamano maestro, si sente tale?
Il termine va oltre il fatto musicale. Alle volte, sì, imbarazza.
Qual è stato il concerto più difficile?
Una Traviata in Korea. Loro adorano la lirica, ma non leggono il romanzo di Dumas bensì guardano i video di Muti alla Scala.
Meglio il musical o l’opera?
Sono stato a Londra e New York per ascoltare il musical dov’è nato, perché non è un prodotto di serie B.
Meglio la sinfonica o la cameristica?
(Ci pensa). Diciamo la sinfonica
C’è un collega che ammira?
Pierangelo Valtinoni, perché s’è fatto con le sue mani. Come organista, Pierdamiano Peretti che lavora a Vienna.
Lei è organista, come Valtinoni, Comparin, Zanovello. Li conosco tutti io oppure c’è qualche segreto che vi caratterizza?
No, non è un caso. Un bravo organista è anche un buon direttore di coro. Nella canna dell’organo e in quella della laringe finisce sempre aria. Gli organisti, poi, devono intraprendere un percorso musicale maggiore. E in questo percorso c’è anche la composizione.
Antonio Di Lorenzo